Sconfitta della ragione. Leonardo Sciascia e la giustizia penale (La)
Che cos’è l’amministrazione della giustizia penale per Sciascia? Cos’è un’indagine, una prova, un indizio? Un giudice, un avvocato, un inquirente, un poliziotto, un imputato? Che cos’è una pena? Questo libro è un’analisi compiuta con gli «occhiali del giurista», condotta da professionisti del diritto che hanno una passione per il grande scrittore accompagnata da una totale conoscenza. Essi introducono chi segue il loro percorso ai romanzi e ai racconti, e a tutti gli scritti sparsi, come dentro a un coerente universo giuridico. E questo, grazie – premettono gli autori – a una «scoperta». «Sciascia non è l’algido osservatore del lavoro di poliziotti e giudici», «è un cultore del vero giudiziario», non descrive semplicemente casi gialli, realtà vissuta e archivi sono i due pilastri della sua conoscenza; «egli si affida ben poco alla immaginazione narrativa. Sfoglia dossier polizieschi, fascicoli processuali e carte di archivio». Un’immersione profonda che porta alla radice più interessante della sua idea di diritto (che dà forma al capitolo forse più originale e rivelatore di tutto il saggio). La critica contro il «misticismo giudiziario», quell’idea di giustizia come di cosa esistente separata e superiore agli umani che l’hanno prodotta e la producono, un feticcio e un sacerdozio. Al contrario «chi applica le norme non è un essere inanimato». «Nessuno – dice-va il grande scrittore – si può considerare estraneo e profano rispetto all’amministrazione della giustizia». Gli autori definiscono questo con la formula felice di «Illuminismo ben temperato». Che conduce a una conclusione interpretativa sorprendente: «Ci vuole anche, per rendere vera giustizia, la “scienza del cuore umano”, un supporto che vale quanto la “scienza dei codici”». Così come i viaggiatori stranieri in una terra arcinota a chi vi abita – osserva Gianni Puglisi nella Prefazione –, questo libro coglie aspetti che nessuno aveva visto, della teoria sciasciana di una giustizia.